Era come un piacevole risveglio, un aprirsi al giorno vedere Fedele al mattino passare nelle vanelle di san Giorgi. Si annunciava col suo fischio dietro le capre, arrampicate a brucare tra i roveti che coprivano i muretti di pietra, che facevano limite alla strada. Alto, allampanato don Chisciotte, con la barba non rasata da giorni, vagava dietro le capre come qualcuno che avesse perso la strada. Si fermava, considerava, si grattava la nuca, si passava la mano sul viso e poi proseguiva, fischiando alle bestie e rimettendole in movimento con qualche sasso scagliato contro. Lo aspettavamo tutte le mattine dietro la casa, fuori dal recinto, e lui mungeva, in un bricco di ferro smaltato, qualche quarto di latte residuo, dalle vuote mammelle delle capre. Proseguiva. Non so dove andasse a finire per tutto il giorno. Chissà dove la sera mungesse le capre e dove queste stessero durante la notte. Sembrava che scomparissero e ricomparissero al mattino.
Beveva Fedele.
Cecilia abitava dietro l’asilo con la madre, una signora con l’aspetto da matrona. Mai avevo visto uomini accompagnarle. Stava Cecilia affacciata alla finestra, come se aspettasse qualcuno. La vedevo quando tornavo da scuola. Mi piaceva passare di là per guardarla, nelle mezze mattine di primavera, da quando, bambino, mi aveva sorriso sorpresa perché cantavo per strada a voce alta: “è primavera svegliatevi bambine messer aprile…”. Una canzone molto più vecchia della mia età, cantata da mio padre e mia madre.
Storie e fantasie creavano su Cecilia gli uomini, che la pensavano irraggiungibile, mentre ella si sentiva sfiorire in attesa di un amore.
La corriera era partita da poco da piazza monumento. Era Cecilia seduta al penultimo posto, riempiva della fragranza della sua avvenenza tutta la corriera. Giovinetto ora, la spiavo timidamente senza farmene accorgere. Assorta guardava la strada che lenta, sonnolente scorreva verso il mare. Ad ogni curva la corriera sembrava fermarsi. Era come una sosta nei pensieri di lei. Una tristezza, una mancanza si insinuava nel suo animo. A stento tratteneva le lacrime. Con sforzo si costringeva ancora ad aspettare i suoi sogni. Muta l’accompagnava la campagna col suo lieve stormir di foglie e gli uccelli che si alzavano dagli alberi e volavano con scarti irregolari in un cielo di un celeste incerto appena scaldato dal sole del mattino.
Chissà a chi quel giorno Fedele aveva affidato le sue capre o forse quel mattino non si erano materializzate ed erano rimaste nel loro irreale recinto. Forse andava a S. Agata. per qualche bega all’ufficio registro.
Seduto nel posto accanto all’autista, paonazzo ancora del vino della sera o per i primi bicchieri del mattino, guardava di qua e di là. Barcollante si era alzato e sbandando, non per le curve, era andato a sedersi accanto a Cecilia. Continuava a guardarla. Lei cercava di mostrare noncuranza ma tradiva il suo disagio. Lo avvertiva Fedele. E più era il disagio e più egli la fissava. Arrossiva Cecilia. Il rossore delle guance le faceva risaltare i capelli biondi fermi in uno chignon e soprattutto le labbra carnose, coperte da un vivace rossetto. Improvvisa nel silenzio ovattato della corsa, interrotto solo dalle accelerate del motore dopo le curve, si sentì la voce di Fedele che con tono squillante esclamò” Ba..cciala..Labbra ro..sse, , baciala in bo..cca!” Quindi come se avesse assolto ad un compito o avesse smarinato la sbronza tornò a sedere al suo posto.
Ai lati della strada in costruzione, in fondo a via Gioberti, gli operai avevano scavato un fosso. Fedele era uscito dalla cantina, la vista offuscata dal vino e dal buio. Camminava con equilibrio malfermo, ad uno scarto dell’andatura lo perse e cadde nel fossato. Per ore stette steso sul terreno, senza dare segno di sè fino a quando uno dei figli, avvisato da un passante, si affacciò al margine del fosso e lo chiamò; ” pætri, pætri, cam sai, susiv, giemnu anca nascia”. ” na zea vuoggh stær”* rispose Fedele e continuò con una specie di cantilena :” io non mi chiamo Fedele, il mio nome è Cortese, che bel nome eh, Cortese fammi un cortesia, che bel nome”.
L’uomo mette in scena la propria vita, per vederla come uno spettatore . Egli è ciò che rappresenta. In esso si concretizza, prende coscienza, diviene corpo, si percepisce come entità .
Passava Fedele, una delle sere di ritorno dal pascolo, in un di quei vicoli medievali della parte alta del borgo. Voci disperate si udivano uscire da una casa, la porta aperta ed un catafalco in mezzo alla stanza. Questo era il modo del paese di onorare i morti. Gridavano piangendo le donne : ” figgh miea, figgh miea, cam t’ ‘nganest cuscì prest, cam t’ ‘nganest figgh!”** Per tutti era lo stesso, che fosse un giovane o un vecchio ottantenne. Erano urla sincere, non da prefiche. Esse non si disperavano solo per il morto, piangevano e rappresentavano anche la loro futura morte.
Commosso, incuriosito, col primo vino che gli scaldava il corpo e gli rendeva leggero il cervello Fedele pensò :” Chissà come mi piangeranno quando sarò morto? Voglio vederlo, da vivo!” Tornò a casa, raccolse tutti i familiari e con tono drammatico esclamò :”U pætri murì, chiancim!”*** Mise il letto in mezzo alla stanza, si sdraiò su di esso e rivolto ai figli ingiunse : “piangetemi ora, voglio vedere come lo farete quando sarò veramente morto” Pretese che si aprisse anche la porta. E quelli cominciarono a piangere, a bastonarsi in volto, a strapparsi i capelli e a gridare: ” U pætri murì, u pætri murì, oh pætri cam avuoma a fær sanza d’ vuoi, stodda mattutina!”**** Sorpreso accorse tutto il vicinato a piangere Fedele morto non morto.
*pætri, pætri, cam sei, susiv, giemnu anca nascia”. ” na zea vuoggh stær’
“padre, padre come state, alzatevi, andiamo a casa”. “no qua voglio restare”
**” figgh miea, figgh miea, cam t’ ‘nganest cuscì prest, cam t’ ‘nganest figgh!”
figlio mio, figlio mio, come te ne sei andato così presto come te ne sei andato figlio!
*** “U pætri murì, chiancim!” il padre è morto, piangetemi!
**** U pætri murì, u pætri murì, oh pætri cam avuoma a fær sanza d tu, stidda mattutina!”
il padre è morto, il padre è morto, oh padre come faremo senza di te, stella mattutina!
4-11 settembre 2021
Ciro Gallo