Dovesse succedermi o quando mi succederà mi asterrò. Mi affiderò solo alle mie mani. Almeno così ora mi dico.
Grande era l’apparecchio. La chiesa madre tutta addobbata. Fiori ad ogni angolo. Tutta piena di gente. Già dal sagrato si udivano i canti. Tre preti officianti, con paramenti dorati. Otto chierichetti con la tonachina blu e la mantellina gialla. Tutti compunti. Il parroco preso dalla sua parte, recitata benissimo. Chi serviva, la faccia di circostanza. Il sacrista quasi piangente, effetto della mancia di prima e di quella di poi. Tutta un’atmosfera estatica, celestiale. Risuonavano le navate. Era una messa cantata. Tanto cantata! Era per un morto ricco. Avevano creato un anteprima del paradiso, anticipando quell’altro. Come se il morto fosse già beato. Tutti lo credevano. Solo i diavoli lo conoscevano ed ora nel viaggio verso l’inferno se lo disputavano.
Cono era uomo di chiesa, da sempre lo era stato. Religioso, non perdeva una messa e non perché, povero e senza lavoro, non avesse niente da fare . Ci credeva, ci credeva proprio. Faceva tutti i lavori più umili nella parrocchia. Spostare i banchi? C’era Cono. Togliere la polvere ai candelabri? C’era Cono. Salire sul piedistallo per levare dalla testa della statua la cacca di qualche uccello infiltrato? Cono! Mai si lamentava.
E fu il tempo che Cono morì. Qualche giorno dopo il ricco. Visti i suoi meriti, tutti si aspettavano esequie degne. Presto al mattino fu detta la messa funebre. Tanto presto che pochissimi fedeli c’erano ad evidenziare quanto la chiesa fosse spoglia. Solo il catafalco con la bara di latta e legno grezzo risaltava in mezzo al corridoio. Un prete assonnato, un paramento liso, biascicava le giaculatorie. Nessun inserviente. Il sagrestano assente.
Preso a coraggio un amico di Cono si avvicinò all’altare, salì i gradini e, credendo fare cosa giusta come ricompensa ai servigi resi da Cono, chiese al prete :” Padre gliela diciamo cantata la messa a Cono?”. Stupito quello lo squadrò e con uno sguardo venale gli rispose :” Soldi ne hai? No?! E allora fesso non lo sai che senza spartito non suona la banda e senza denari non si canta messa!”
Mestamente, con solo un requiem aeternam, Cono fu portato al cimitero. Della sua anima niente si sa. Anche gli angeli se lo erano scordato.
Dovesse succedermi mi metterei solo nelle mie mani.Fortemente lo spero.
X non poteva più permetterselo, l’assicurazione gli aveva alzato enormemente il premio. Aveva dovuto desistere. Prima tutti erano concentrati sulla sua malattia. Infermiere linde, carine, cortesi, comprese nel ruolo. Il caffè, le brioche, i giornali, la televisione. I medici col camice bianco bianchissimo, il sorriso compiacente, le mani sollecite anche se sudate. Cantavano messa. Pensava :” mi prendono sul serio, han cura”. Era fiducioso e tranquillo, speranzoso. ” Vuoi che tutto questo apparato e questa attenzione non possa sconfiggere il mio tumore?!
Ora era diventato un ammalato pubblico del servizio sanitario nazionale. Niente caffè, giornali, Tv. Lunghe attese noiose. Solo qualche infermiera a volte gentile a cui chiedere qualche lume. Sempre medici diversi. Un tempo limitato 15/20 minuti e via. Non puoi chiedere niente, discutere, valutare terapie. Niente di niente. In mano ad un altro che quasi mai di te si ricorda. Nella completa solitudine. Un dentro e fuori. Una fabbrica.
Gli era venuto in mente il film di Elio Petri. ” Lulù era uno stakanovista. Aveva ritmi forsennati di lavoro. Sfornava continuamente bulloni. Un bullone dopo un bullone dopo un bullone. Fin quando perse un dito. Fu allora che capì di essere uno sfruttato e che la compiacenza dei superiori niente aveva a che fare con la benevolenza. Era solo interesse perché lo additavano agli altri come modello di operaio. Prese coscienza”.
Non avvertono i medici in generale, gli oncologi, quelli costretti a turni senz’anima in ambulatorio. Non avvertono la loro alienazione. Attribuiscono il loro burnout ad altro e cronicizzano la loro freddezza, il loro distacco dall’ammalato. Non avvertono il loro servilismo istituzionalizzato.
I medici del SSN, gli oncologi, anche se proletarizzati non sono come la classe operaia di Petri. Non prendono coscienza, “non vanno in paradiso!”
E per gli ammalati normali così come per Cono, niente messa cantata.
23 giugno 2025
Ciro Gallo