Aveva un cordoncino legato appena sopra l’ombelico. Dovevo spostarlo tutte le volte che gli palpavo l’addome. Non so cosa significasse. Reticente, mai aveva voluto darmi una spiegazione esauriente. Aveva forse paura di essere frainteso. Dopo le prime volte ho smesso di chiederlo.
Il calore era insopportabile, umida la notte di Piano Cottone, gli ulivi mossi solo da una impercettibile brezza. La finestra aperta. Mi ero appena addormentato.
Di soprassalto. Afferro il telefonino e rispondo. Impaurito. Sempre quando squilla di notte lo sono. Così era stato per mio padre.
It’s me, Alex.
Alex?!
Aveva litigato per l’ennesimo volta con la moglie.
At four o ‘clock in the morning?!
Mi chiamava spesso quando aveva problemi. Ero diventato non il suo medico ma il suo riferimento in un paese che la”bontà” occidentale gli voleva per forza far vestire.
Alex era del Ghana. Africano di Accra, che amava il villaggio dove era nato. Viveva intensamente la sua cultura che gli altri, quelli che vogliono “salvarli” non capiscono. Colonialisti per umanità.
Federica l’aveva portato in Italia. Lo aveva sposato, innamorata di quella immagine che le storie della parrocchia sui bambini africani le avevano fatto interiorizzare. Amare per salvare.
Inquieto, triste, improvvisamente Alex cadeva. Più volte. Per questo era finito in ospedale. Niente ero riuscito a trovare come causa di quelle apoplessie. Niente spiegava le sue perdite di coscienza, neanche, all’inizio non notata, l’eterozigosi per la emoglobina S. Mai aveva avuto crisi dolorose, né ischemie cerebrali.
Parlava Alex con me, gli serviva parlare ed a me sentirlo per capire. Non voleva stare in Italia. Per un periodo di separazione era andato in Germania. Costruiva strumenti musicali. Poi era tornato non per riconoscenza ma per non provocare dispiacere. Sensibile al dolore dell’altra. Non aveva pensato al suo star male.
Sempre pensiamo di essere noi i sensibili verso chi vive in paesi a bassa economia. Nel nostro immaginario li consideriamo vittime, enti metafisici perfetti, quindi sterilizzati, privi di sentimenti, anche di quelli negativi.
Scomparso è Alex. Ho cercato di rintracciarlo per curiosità professionale e soprattutto di uomo. Invano. È rimasto solo il cordoncino, il fisico magro ed il suo volto sperduto ed interrogante. Sarà senz’altro tornato al suo villaggio, dove quell’intreccio di corda significa qualcosa ed egli parla un linguaggio interiore che gli altri capiscono.
Tanto Federica lo aveva amato, sfidando il razzismo di questo paese. Ma l’Alex di Federica non era del Ghana, apparteneva alla di lei nazione mentale, quella universale, piena di immacolati personaggi immaginari, oggetti della nostra benevolenza. Questo avvertiva Alex, l’essere amato non in quanto uomo di un paese e cultura diversi, ma come un impegno morale. Una specie di buona azione da spendere poi al mercato della coscienza o dell’aldilà.
Giulia, ora in pensione, si da molto da fare. Da una mano come medico al Naga, collabora con l’Opera san Francesco, è impegnata nel sociale. Studia anche l’arabo.
Come me Giulia è mediterranea e si sente legata ai popoli del sud-est di quel mare. E come me ama i Palestinesi.
La ho invitata alla presentazione di un libro contro la guerra. Quella di Israele contro la Palestina. Ho pensato che le potesse essere utile per capire. Mi ha risposto che non poteva, a quell’ora aveva lezione di arabo che non poteva perdere.
Perplesso mi sono chiesto:”ma i palestinesi non parlano arabo? Non hanno tra l’altro origine araba? Ma quale l’utilità di imparare la lingua di un popolo trascurando di partecipare alla discussione sul dramma di quello stesso popolo?
Sinceramente Giulia ama i palestinesi. Allo stesso modo Federica amava Alex.
Parlo di Giulia e di Federica, avrei potuto parlare di quel meraviglioso personaggio che è stato Rino, che si era portato dietro una ragazza senegalese liberandola con il prezzo di una lavatrice.
28 febbraio 2025.
Ciro Gallo