Quando a Milano non c’era solo la Bocconi, che oggi mette all’incasso una nomea acquistata negli anni sessanta e settanta, esistevano anche altre vere Università. La Statale di via Festa del Perdono, per esempio, bella nella sua architettura, splendida nei suoi giardini fioriti in primavera, ma soprattutto brulicante di sapere umanistico. Là ci recavamo studenti, anche di altre facoltà, a sentire il professor Paci, spiegare la teoria del servo e del padrone di Hegel, ad ascoltare le lezioni di storia del prof. Della Peruta. Là abbiamo appreso delle rivolte dei contadini nel risorgimento italiano. Non solo quelli di Alcara li Fusi, ma anche quelle dei carbonai, dei diseredati, degli ultimi di Bronte. Massacrati da Nino Bixio in difesa dei “civili”, dei cappeddi, dei notai. Ma non è di questo o di questi che vogliamo parlare. Anzi si’, ma in maniera diversa, diremmo attuale.
Qualcuno, che avrà superato i cinquanta anni, ricorderà di quando, per ogni piccolo documento, anche per iscriversi a scuola, si doveva specificare per iscritto paternità e maternità. Fonte di imbarazzo, di discriminazione per i figli delle coppie non sposate, di ragazze nubili e di NN. Poi finalmente, con un atto di razionalità, tale pratica è stata abolita. In effetti non importa chi siano tuo padre e tua madre, chi ti abbia generato, importi tu come individuo, con i tuoi pregi e difetti, con i tuoi meriti. Ed è qui’ che è cominciato una specie di nascondimento.
Quando giovani virgulti, con cognomi noti, occupano posti rinomati, di comando, ben retribuiti, non sappiamo se sono figli del tale o del tal’altro “importante”. Allora credo che, sarebbe auspicabile che, da ora in avanti, nelle pratiche burocratiche che allora lo richiedevano, fosse riportato non il cognome della mamma e del papà ma la professione dei genitori. Scopriremo allora che : ” i figghi di cappeddi diventanu cappeddi ei figghi di nutara diventanu nutara”.
Cosi è pure per i figli dei professori universitari. Con buona pace per il merito!
Ciro Gallo