Improvvisi erano ricomparsi. Da tanto o da sempre erano stati là, costretti alla non esistenza come altre parti di me. E non erano quelli, ormai disfatti, che mi aveva legato Abdù, che mi considerava una figura di padre. Lo si vedeva tutte le volte che lo incontravo, davanti al bar magenta, nel sorriso del suo volto e nell’abbraccio che mi dava.
Non aveva famiglia Abdù o, come tutti quelli che han dovuto tentare l’abbandono, ce l’aveva. Ma una famiglia fatta di voci, deformate dalla comunicazione meccanica, disperse nell’aria, lontane, rarefatte. Una famiglia che aveva solo il corpo della lontananza.
Erano là legati al mio braccio, fugaci variopinti arcobaleni di speranze mai realizzate. Coperti ormai dalla cecità ma presenti come tutte le sofferenze. Destino del vivere. Necessità del dover vivere.
Li guardo e mi sembrano estranei nonostante i colori. Non so cosa mi ricordino, che cosa mi vogliano rappresentare. Li tengo, non li voglio slegare, mi appartengono anche se mi disturbano. Faccio lo stesso con tante altre cose di me immateriali, più destruenti. Mi servono per compattarmi, per resistere in questa parvenza di esistenza.
Resto seduto a scrivere nella mia stanchezza. Mi chiedo come mai mi sia accorto oggi di essi o come mai abbiano voluto attrarre la mia attenzione. I sogni? Forse si sono inseriti nella mia costruzione dei sogni. Ma perché colori in così angosciosi sogni? Non per darmi sollievo ma per accentuare la tristezza di quelli. Sempre uguali io li creo al mattino. Risentono dei miei continui risvegli. Dell’angoscia e lo spreco, alla mia età, di desiderare la morte. I vecchi non dovrebbero, questo è privilegio dei giovani che hanno tempo davanti e si possono permettere di giocare con questo desiderio. Serve loro per affermare la vita e sconfiggere gli inevitabili momenti di angoscia.
Abdù non lo vedo da tanto. Non ricordo chi possa avermi legato questi braccialettini, come segni propiziatori di fortuna. Senz’altro al momento in cui mi venivano legati me la ero augurata. Ma la fortuna è una completa dimenticanza.
Oggi la loro ricomparsa non è stato un segno di essa, neanche momentaneo. Solo il richiamo di un vuoto, della perdita persino della benigna menzogna della superstizione.
E resto sempre seduto qui a scrivere e non mi decido a che fare. Li riguardo e li lascio al mio braccio, ora presenti in me e fuori di me. Cerco di fare dei loro colori una illusione.
15 novembre 2024
Ciro Gallo