Da tantissimi anni non tornavo a casa in piena estate.
Tante me ne sono successe da sentirmi soffocato
ed allora come Turien…
Turien era un buono, aveva la bontà delle menti non speculative. La stessa di quella di San Benedetto il Moro, ma non santificata. Viveva Turien con la madre, donna pia e malata. Pregava Turien per la salute di lei. Credeva, come tutti, nell’azione salvifica delle superstizioni che accompagnano le religioni. E ci aveva creduto di più perché, dopo il cerimoniale di una di queste, la madre era stata meglio.
Soffriva Turien la sua solitudine. Gli altri gli sembravano un altrove che egli non avrebbe potuto raggiungere. Non aveva le stesse furbizie. Davanti alle loro azioni o male azioni restava sempre perplesso, sconcertato. Non riusciva a capire. E pregava, pregava per se stesso.
La processione era imponente, tanta era la gente, le persone così fitte e stipate le une alle altre che, a buttarlo in aria, un chicco di grano non avrebbe toccato terra. Compunte le donne, con un mormorio profondo gli uomini, pregavano, cantavano i lamenti di Nostro Signore. La statua del Crocefisso era un ossimoro, una contraddizione, nudo in croce ma con una stola accanto in cui erano attaccate banconote come offerte. La banda suonava motivi funerei ed accentuava l’angoscia e la commozione del momento per la morte di Cristo. In tanti e tanti piangevano le lacrime dei loro dolori e delle loro preoccupazioni. Ognuno chiedeva umilmente una grazia. Sempre si trattava di guarire da una malattia od un aiuto per la povertà.
I miracoli, al tempo, non si manifestavano in maniera metafisica, impalpabili, avevano bisogno di un mezzo intermediario. I santi normali avevano qualche frutto o qualche oggetto con valore terapeutico. San Calogero, per esempio, aveva la cordella scaccia mali, S. Biagio i pomi benedetti per la gola. Il Cristo invece il pane. Taumaturgico per la fame, miracoloso in tutto.
Era costume, per chi volesse una grazia, un favore dal Crocefisso, impastare ed infornare piccoli pani, detti panotti. Sfregati, nelle ricorrenze, sul costato di Cristo e poi mangiatene anche piccoli pezzi, avrebbero avuto un potere prodigioso. In uno di questi sperava Turien. Questa volta per sé, per diventare come gli altri e non sentirsi a disagio e solo.
Tappe faceva la processione. In una di queste, nello spiazzo del municipio, una cesta di piccoli pani fu portata, come ex voto, e posta sulla vara. Un uomo, salito su di essa, sfregava i pani sul costato ferito del Cristo e li lanciava,”dava in pasto“alla gente che si accapigliava per accaparrarsi, a furia di spintoni ed improperi, il pan santo, panacea per i propri guai. Turien guardava l’uomo, seguiva con gli occhi il movimento delle mani ed il volo e la traiettoria dei pani. Per avventura uno volò dalla sua parte. Credette fosse un segno per lui. Si buttò sopra di esso, lo afferrò stretto, ma immediatamente fu sbattuto a terra , sopraffatto dalla gente intorno che voleva per sé quel pane. A terra, Turien, schiacciato, impedito a respirare, lasciò andare dalle mani il panotto ed ebbe soltanto voce per gridare: “lasciatimi nesciri nun ni vogghiu panottu” e da sotto sollevando lievemente il capo rivolto alla statua implorò;”Cristu nun vogghiu canciari, lasciami comu sugnu”.
A mia madre.
22 luglio 2024
Ciro Gallo