Di Rino io avevo scritto versi, che lo ritraevano nell’atto di volare come le rondini, in un mattino di maggio, per lasciarsi dietro la depressione ed il senso di colpa che si portava dalla nascita, per la malattia della madre. Mi chiedevo se in quel momento lo accompagnasse, sentisse l’adagio di Spartacus e Phrygia di Khachaturian. Li ho persi. Li ho cercati ovunque. Non li trovo.
” Passo lento” era il nome di quel circolo di incontri in piazzale Dateo che Rino organizzava. Ci avevo portato, una sera Domenico, coraggioso , intelligentissimo argentino , che era dovuto sfuggire a Videla
Non vivevo bene in quel periodo, molto più che da sempre. Si stupivano, anzi dava fastidio ai miei colleghi che io stessi a studiare mentre loro scherzavano, facendo disegnini pornografici. Mi sentivo fuori posto, insicuro , instabile. Restai sorpreso quella sera in cui, in un incontro con Franco Fortini, un preside di un liceo milanese che era intervenuto dopo di me, aveva detto :” così come con calma e razionalità ha detto Ciro….” Mi sono sentito più insicuro, mi diventava infatti più presente la difficoltà che vivevo in reparto. Stavo zitto, non parlavo.
“Ma tu sembri un frate trappista, non ti apri mai”. Così mi diceva Enzo quando andavo a casa sua. E fu un giorno di disperazione che commisi il grossolano errore. Per aprirmi lo andai a trovare, portandomi registrati in un nastro i versi che da anni scrivevo.
Enzo era come gli altri scrittori che ‘disprezzano” tutti quelli che si permettono di scrivere. Come se avessero l’ardire di entrare in un terreno privato, esclusivo e a loro solo riservato. Aveva parole salaci, a limite della supponenza, anche per scrittori affermati. Di un premio nobel della letteratura latino americano usava dire : ” questo pennivendolo!”
Per anni, per non dispiacerlo, ho dovuto leggere quasi di nascosto Bufalino. Non lo amava. Facile gli era stato per Camilleri. Questo atteggiamento io gli scusavo. Mi offendeva invece quando paternalisticamente parlava di quei malcapitati che aspiravano a pubblicare e gli sottoponevano i loro scritti. Ma io con la mia cassetta non volevo pubblicare, volevo aprirmi, avevo accettato il suo invito a non restar chiuso.
Mi sono sentito un intruso, quasi non ascoltato, sembrava non infastidito ma dava l’impressione di pensare di me : “poverino”.
Poi uscì in maniera inaspettata, con urgenza dopo una telefonata. Rivolto a me che lo seguivo all’ascensore , come di chi fa una carezza ad un bambino un poco scemo , mi disse : “siamo tutti poeti”. Non aveva capito! Mi richiusi in me stesso. Continuai la mia vita in reparto allo stesso modo. Muto stavo a studiare. Per anni non scrissi più.
Enzo mi ha voluto bene. Mi disturba quando qualcuno ricordandolo dice questi sono stati i suoi amici e cita solo scrittori e letterati. Io sono stato suo vero amico. Con me non era necessario avere l’inevitabile atteggiamento utilitaristico del dover appartenere ad un ambiente. Noi siamo nati negli stessi luoghi, abbiamo respirato la stessa aria, abbiamo guardato le stesse barche che tornavano dalla pesca, nuotato nello stesso mare. Nei miei riguardi non c’era opportunismo. Solo quello naturale degli amici di un medico.
Sempre ci parlavamo. Sovente veniva a trovarmi in ospedale. Io gli ho fatto le diagnosi precoci di quelle malattie che poi gestite da altri l’avrebbero portato a morire. Forse, alla luce delle mie attuali conoscenze, se non avessi fatto diagnosi sarebbe stato meglio.
Una di queste è possibile sia stata una “over diagnosis” Probabilmente il piccolo tumore che avevo contribuito a diagnosticare non si sarebbe mai trasformato in qualcosa di aggressivo.
E fu in uno degli incontri in ospedale che io , anni erano passati ed avevo ricominciato a scrivere, gli parlai di un qualcosa che avevo scritto sul viaggio nella sanità di un medico -paziente che non dichiara la sua professione. Sinceramente aveva apprezzato.
Fu in quella occasione che mi invitò a fargli leggere “le mie cose”. “Figurati!!” Aveva insistito, dicendosi offeso . Un ricatto. Alla fine di mala voglia gliele ho mandate.
Ma Enzo era Enzo, non era cambiato, era lo scrittore che in un qualsiasi altro vede un intruso.
Due anni erano passati. Imbarazzato più per lui che per me, comunque indispettito gli ho chiesto di darmi indietro il dattiloscritto. Dopo tempo lo ho ricevuto
Per più di 15 anni è rimasto in un cassetto. Non me ne sono mai curato. Oggi decido di tirarlo fuori e con mia sorpresa noto un “sì” su alcune delle mie composizioni , su altre, corrette, c’è un punto interrogativo accanto. Solo poche hanno un no .
Mi faccio forza vinco il mio imbarazzo e decido di pubblicarle su Altrapolis. Incominciando con questa.
Ogni composizione sarà accompagnata dagli stessi segni che Enzo aveva scritto a “commentò
Angiola (?)
Di primavera in un prato
Angiola fece l’amore,
il sole bruciava le erbe
ed il corpo di lui
la freschezza dei seni.
Non provò dolore
né si sentì violentata.
Belluno è una bella città
limpida e pulita cartolina,
silenziosa e discreta
Angiola ci viveva.
Milano la fece prigioniera
ed ella completamente scoperta
aspettava con ansia la sera.
La notte sognava Belluno
come un cimitero oltre un muro di cipressi,
rimirava la propria immagine
e non le apparteneva.
si accarezzava il ventre
e ricordava che
di primavera in un prato
aveva fatto l’amore.
I riccioli neri di lui
si mescolavano ora
con la nausea ed il vuoto allo stomaco.
Lunghe dita sottili
intrecciavano la sua solitudine.
Stringendo violentemente le sbarre
nella cella di questa città
Angiola partorì.
Svegliata da un vagito
di bimba
riacquistò libertà
e pensò a Belluno
e che di primavera in un prato
aveva fatto l’amore.
18 giugno 2022
Ciro Gallo