Favola per Minerva. Il Ciclope che amò il sole e la musica di Bach.

4 Aprile 2021

Sospinti da Caos e dalla primitiva ferocia delle Forze in esso, Ciclopi e Titani lottarono. Scampato, Polifemo,  per sfuggire alla vendetta, stava nascosto in una caverna, in compagnia di un gregge. Aveva il potere divino di far pascolare  le pecore da sole, che docili tornavano la sera all’ovile. Viveva  con esse  e parlava con le ombre che uscivano dalla sua testa. Con rassegnata tristezza anelava uscire ed ascoltava con nostalgia lo zufolo di quei pastori che, fortunati, potevano andar per i campi, guardar il volo degli uccelli ed odorar il profumo dei fiori. Caro gli era il ricordo di sorella Primavera quando gli consentiva di starsene sdraiato e sentire il tepore dell’erba.

Sperò con l’avvento di Ulisse e dei suoi compagni di sfuggire alla solitudine e di parlare con qualcuno. Si accorse però che, pur se l’idioma era uguale, il linguaggio era diverso. Semplice e sincero il suo, ambiguo e falso quello degli uomini, pieno di piccoli sotterfugi e miseri egoismi. Capì che volevano impossessarsi del suo gregge, lasciandolo così nel più oscuro degli stati, solo e senza scopo. Sarebbe sopravvissuto senza sostentamento alimentare, ma nemmeno  gli dei possono vivere senza compagnia. Lasciò fare, per scoprire a fondo la loro natura. Capiva i loro piccoli trucchi. Finse che il palo conficcatogli nell’occhio da Odisseo lo avesse accecato. Nessun danno,  nessun trauma avrebbe potuto compromettere la sua vista, proiettata nel futuro ed emblema dell’eternità e della sua immortalità.

Si comportò da cieco furioso, chiuse l’antro, non completamente, tanto da permettere agli uomini attaccati al vello delle pecore di uscire indenni. Con senso di ironica tristezza palpò il dorso di esse, lasciando che Odisseo  si beasse del suo piccolo espediente. Li lasciò liberi deluso da questo nuovo incontro.

A lungo stette pensieroso nella grotta.Il buio, ora sì, gli offuscava la vista  ma gli espandeva i pensieri e la contraddizione di essi. Decise che non valeva la pena star chiuso per timore della vendetta degli altri dei. Sfidò.Volle vedere cosa ci fosse oltre l’antro. Non voleva più vedere ombre ma ritornare alla luce. Uscì ed improvviso un disco di fuoco apparve nel cielo e con esso si svegliarono i colori ed i suoni e tutte le creature, le foglie degli alberi luccicarono di un argento che mai aveva veduto, o dimenticato, e l’aria turchina. Si beò. A lungo  camminò senza meta. Sentiva il calore riscaldagli le ossa, liberarlo dall’umido della caverna, i pensieri diventare leggeri. Un senso di vita vera lo invase. Stanco si sdraiò e dormì un sonno di secoli.

Vide ora nel dormiveglia, prima di destarsi,  una fanciulla di nome Minerva, di fattezze gentili, delicate le mani a raccogliere fiori, camminare leggera, quasi a volare, sull’erba. Risaltavano le gocce di rugiada sui piedi, i capelli coprivano il collo e circondavano etereo il viso. Capì che tutto era cambiato che questa era  Natura ed i tempi divenuti diversi. Sentì melodioso venire un suono che ascoltò ed ascoltò. Era una musica, un concerto  d’oboe d’amore. Comprese così cosa fosse importante desiderare, cosa degno d’amore, nonostante l’esperienza degli uomini. Si innamorò di tutto questo e pensò di scambiar la sua immortalità fuggitiva con una vita, con un limite, ma felice.

10 Novembre 2019

Ciro Gallo