Sapiddu

12 Gennaio 2020

L’avevo chiesto a Massimiliano, giovane palermitano, trasferitosi a Milano a lavorare presso l’ottica Aspesi. Là  io vado, in Via Festa del Perdono/Largo Richini, fin dagli inizi degli anni ’70, dai tempi dell’Università.

Ora è rimasto solo Antonio, non c’è più il fratello né la zia, elegante signora, con un aspetto un pò acromegalico.

Antonio è un esempio della vera cultura lombarda.

Quando la nostalgia  degli anni mi prende vado a trovarlo. Egli parla ed io ascolto, come se ancora fossi studente. Ama il dialetto milanese  come io amo il mio, di San Fratello, che col suo condivide alcune parole, essendo di origine gallo-italica, oltre che  il siciliano corrente.

L’avevo chiesto a Massimiliano,  la cui fidanzata si da il caso essere del mio paese di nascita. “Come va la sua fidanzata?  Ma ch’ fa v’ maritati?” “ Sapiddu ” mi risponde.

Ecco sapiddu, parola quasi ormai in disuso . È esso equivalente a cusapi, entrambi traducibili in italiano con chissà?

Le due parole se pur affini hanno sfumature diverse ma importanti. Anche il tono dell’espressione assume un valore. Entrambi hanno insito il dubbio ma mentre nel sapiddu: u sapi iddu, lo sa lui, il dubbio è legato alla persona, personale incertezza del proprio volere( si noti come l’io che non sa sia declinato alla terza persona, come se fosse un altro a decidere o a dirimere una questione, quasi a deresponsabilizzarsi), nel cusapi: cu u sapi, chi lo sa, il dubbio è legato alla sorte,  al caso, ad un io generale decidente che, pur comprendendolo, è altro dal soggetto.

Spesso nel tradurre dal dialetto all’italiano le parole perdono sfumature pregnanti  di significato. Sapiddu!

Ciro Gallo