Aveva avuto la sensazione improvvisa che qualcosa le fendesse il cranio e gli offrisse diviso a metà il suo cervello. Affondò le mani in quella gelatina grigio-biancastra con la speranza di divincolare i nodi che lo serravano e asfissiavano. Sentiva l’angoscia venir su. Cercava tra le circonvoluzioni la sua origine e le fobie, si imbatteva in sentimenti non suoi, in condizionamenti che coartavano libertà, che arrestavano movimenti, che producevano ansia. Richiuse frettolosamente la scatola cranica. Ebbe paura di rimodellarsi. Ormai i freni erano tolti, le inibizioni scollate. Pensieri rinchiusi avevano divelto barriere e sconfinavano in altri settori. Fluivano come un fiume in piena. Era una lotte senza regole. Si stringevano alleanze momentanee. I conflitti erano senza scopi. L’integrità della struttura macroscopica non faceva trasparire all’esterno niente di tutto ciò.
Paolo cominciò a dormire sempre di meno. si alzava al mattino con gli occhi cerchiati e con la sensazione di aver dovuto dominare fisicamente eventi spropositati per le sue forze. Tutto era cominciato un giorno di dicembre. Aveva preso il treno per tornare a casa dal lavoro. Stranamente, per il periodo e l’ora, i compartimenti gli erano sembrati deserti. Sfogliò ripetutamente il giornale alla ricerca di qualcosa che lo distraesse. Sentiva il bisogno di riposarsi e dormire. Chiuse gli occhi e gli sembrò che il treno deragliasse nel tempo. I suoi pensieri perdevano i confini, scomparivano evaporando. Si sentì come se ognuno potesse possedere la sua mente ed impossessarsi della sua vita. In quell’istante il suono del suo orologio si conficcò nella testa trapassandola ripetutamente, provocando vibrazioni insopportabili. Si alzò , cercò di fuggire, ma ormai pensieri metallici avevano invaso la sua mente e gli impedivano di muoversi.
Il treno giunse in stazione. Paolo si avviò verso casa. Credette che qualcuno o qualcosa lo pedinasse. Ebbe paura di non ricordarsi la strada.
Anna aprí la porta, Paolo la guardò smarrito, gli occhi lucidi, madido di sudore, le mani tremanti. Rimase atterrita, stava per gridare, ma come pietrificata non proferì parola. Paolo sprangò la porta dietro di sé, chiuse le finestre, ordinò che fossero spente le luci. Irina credette che si trattasse di un gioco e subito corse ad aggregarsi ma le fu intimato bruscamente di stare in silenzio. ” Che tutti stessero vicini! Che si preparassero a resistere! C’era qualcuno che voleva far loro del male e che probabilmente li avrebbero assediati in casa!” Tutto rimase silenzioso per mezz’ora. Le domande di Anna avevano come unica risposta un accorato :” per favore non farti udire, ti spiegherò.”
La cena si era raffreddata, la bambina dormiva in braccio alla madre. Ora Paolo era più calmo. Rannicchiato sulla poltrona fissava assorto il quadrante del suo orologio, di tanto in tanto silenziosamente rideva e parlava sottovoce all’altro che gli abitava dentro .
A Nadile
Ciro Gallo