Cittadinanza onoraria.

9 Aprile 2013

Era una di quelle, ormai rare , giornate primaverili  in cui vale la pena andare senza meta per Milano. Senza scopo. Come quando da giovane , nelle mattine di sabato, ti lasciavi guidare dalla bicicletta tra i vicoli freschi e silenziosi del centro, invidiando chi in quelle case  abitava, non il loro possesso, ma la possibilità di godere di quei luoghi ogni mattina dell’anno.

Per noi che l’economia ha spinto ai margini della città, nei paesi della periferia, le domeniche senza macchine sono un richiamo ai nostri anni passati, quando studenti, ” costretti” a camminare  e a prendere i mezzi, avevamo l’opportunità di guardarci intorno, di assaporare Milano, di sentire la sua fragranza, di lasciarsi stupire dalla bellezza dei suoi pochi alberi fioriti,  nei posti per noi obbligati.  Piazza s. Stefano , i giardini della Statale. Sotto di essi interi pomeriggi a studiare, nella soddisfazione dello studio e nel desiderio di un nostro domani.

Anche se nella tua età adulta hai visitato e vissuto città internazionali, che ora preferisci, della tua restano ricordi, afflati che spesso affiorano e che vuoi rivivere. Alla ricerca della delicatezza di quelle sensazioni, abbiamo deciso di ripercorrere a piedi quei luoghi ormai  “sfuocati”, quasi metafisici, ma sempre profondamente dentro di noi.

Corso Magenta aveva un silenzio rilassante, interrotto, di tanto in tanto, dallo sferragliare dei tram. Biciclette discrete percorrevano padrone la via. I fiori del giardino di s. Maria delle Grazie si concedevano nel loro biancore. La loro fragranza finalmente non mescolata all’odore dei motori. Le vetrine avevano un aspetto innocuo, meno compulsive, meno invitanti  all’acquisto. Là solo per farsi vedere.

A piedi fino al limite di via Meravigli. All’angolo, sulla destra,  la pasticceria Marchesi. Se la guardi dall’esterno, un pò distratto, sembra una vecchia farmacia. Ti aspetti che sulla porta esca il farmacista, con gli occhialini rotondi cerchiati d’oro e le maniche del camice tirate sù,  a scrutare la strada. Entri. Il locale è piccolo, tante persone al banco del caffè, ma variopinto di mille colori. Colombe , residue della produzione di pasqua, cannoncini, bignè verde pistacchio, color nocciola, babà al rum. Sei avvolto nel profumo e in una gentilezza premurosa.

Fai uno sconto al tuo essere medico e al rigore della dieta, che la tua professione ti impone. Vorresti subito addentare un pasticcino, ma la tua rigida educazione ti frena. Lo mangerai poi a casa. Tieni in mano il piccolo vassoio, vai a pagare alla cassa. Usi il bancomat, non più il denaro contante. E’ un bene da un lato, dall’altro però ti fa perdere il concetto del valore di esso  e della fatica che costa. Tutto in una carta, che tiene i tuoi soldi, che altri, le banche, usano per i loro scopi, concedendoti, bontà loro, “l’emolumento” giornaliero dei tuoi risparmi e del tuo lavoro. Più carte non una lira in tasca!

Esci dalla pasticceria, qualcuno, sui cinquantanni, con le tempie brizzolate, ti si avvicina chiedendoti una moneta. Imbarazzato, sempre lo sono  e con un senso di colpa, quando le persone sono costrette a “chiedere”, rispondo di non aver soldi in tasca. Anzi no, dico : “Mi perdoni, ho solo 30 centesimi” E quello in corretto italiano : “Meglio dodici gnocchi che niente” ed ancora in perfetto milanese “piuttost che nient l’è mei piuttost!”

Il signore in questione non è originario di un paese della Lombardia, è di colore , viene dal Senegal.

A lui non bisogna dare 30 centesimi ma la cittadinanza onoraria!

Ciro Gallo