Benedetto XVI

15 Febbraio 2013

Non essendo giornalisti e nemmeno tuttologi, con il carico di superficialità conseguente, non ci addentreremo in considerazioni sulle remote ragioni delle dimissioni di Benedetto XVI, sulle contraddizioni della chiesa di Roma e gli intrighi dei grandi prelati. Evidente è la crisi della chiesa cattolica. Vorremmo invece soffermarci sulla modernità, anche se involontaria, di quell’atto, che non contraddice il credo della chiesa sull’influsso dello Spirito Santo.

La storia della chiesa è caratterizzata da rigidità e chiusure dogmatiche intermezzate, sporadicamente, da aperture e intuizioni, che hanno condizionato la società universale. Ciò che noi siamo dipende enormemente dalla sua cultura. La chiesa è un nostro costituzionale. E’ difficile dunque darne un giudizio oggettivo, in positivo o in negativo. Sarebbe condizionato dal nostro essere e sentire.

Mai atto comunque è stato cosi moderno, nel senso di una apertura verso l’evoluzione della chiesa, un liberarsi da pregiudizi immobilizzanti. Ora la chiesa, superato il “tabù” del “non si scende mai dalla croce”, potrà avere la forza di un cambiamento che, allo stesso tempo, segua ed indirizzi quello dell’uomo. Non più una istituzione teologica rigida, ma una teologia espansiva che comprenda l’evoluzione dell’idea di Dio, che incorpora quella del genere umano, nel pensiero e nel sentire. La chiesa comprenda maggiormente l’uomo. Non neghi la sua natura umana, non la sacrifichi al concetto di uomo, che in millesimi, debba comportarsi come un essere soprannaturale, “un piccolo dio”. Valorizzare la natura umana svilupperà, come sua parte integrante, il desiderio del trascendente, del divino. Negarla, accentuando solo l’uomo “divino”, renderà quest’ultimo sterile, immobile, privo di spinte verso l’ “Alto”. Cominci al suo interno, nelle sue istituzioni. Non neghi la natura umana dei suoi componenti, consenta loro di non negare il corpo, il piacere di esso e dell’ unione con un altro essere. Lasci libertà all’uomo di essere quello che è, di scieglere il proprio vivere, di almeno interrogarsi sul proprio personale morire e di indirizzare la propria affettività, senza nascondersi, senza negarla. Rinforzi l’umano, per avvicinare con gioia la gente al “Sublime”.

Ciro Gallo