Una delle grosse bugie nella globalizzazione economica è la meritocrazia, alibi usato da chi ha elargito privilegi a figli , parenti, affini e compagni di letto. Non ben inteso il merito individuale in una società di diversi, ma il concetto del più bravo, del più efficiente.
Nella società artigianale, nella bottega, era si’ l’artigiano più capace , il più bravo, perchè esso era libero di inventare, immaginare, progettare e produrre. Con l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro, lo spazio individuale, la “bravura”, non la capacità/possibilità di eseguire un compito inscritto in scala con altri, viene completamente a mancare. Non è più il singolo ma il complesso che opera, in maniera armonizzata. Ognuno è funzionale alla produttività dell’altro. Da questo dipende il successo di una azione.
Il sudcoreano Park Ji Sung è stato un discreto giocatore del Manchester United. Non Evra, nè Scholes, nè tanto meno Rooney e tan poco Cristiano Ronaldo. Eppure sir Alex Ferguson, il più delle volte, lo schierava titolare a posto di qualcuno dei sopracitati campioni. Park , inserito in un ruolo, il suo ruolo, nello specifico marcava, pressava, crossava, permettendo ai più quotati di segnare. Partecipava alla finalizzazione, alla riuscita del progetto in una azione collettiva.
Ora quanto nel nostro sistema produttivo è individuale? Nessuna fabbrica, nessuna azienda, nessuna compagnia sopravviverebbe se si affidasse all’azione individuale .
Se ciò vale nelle aziende che producono mezzi ( beni), a maggior ragione vale nelle aziende che “producono” salute ( il bene). Il concetto del clinico che col suo “occhio” risolve i problemi è obsoleto, se mai sia stato attuale. Tra i sistemi produttivi quello sanitario è il più complesso e particolare, perchè la sua “produzione” non è spendibile anche se investibile e perchè i soggetti che vi partecipano hanno ruoli e culture diverse. Il primo passo sarebbe uniformare , armonizzare le azioni. Il testare la produttività, usando parametri individuali, è non intelligente della complessità, inconcludente, regressivo e repressivo. “Involontariamente” qualcuno, spingendoci indietro nel tempo, reintrodurrebbe in sanità i ” tempi e metodi”. Come se producessimo bulloni!
Prendiamo per esempio a parametro il numero di malati dimessi da un singolo medico, come prova di produttività. Esso è aleatorio e bugiardo. Come se ognuno lavorasse nel proprio studio privato e non in un contesto in cui la sua azione è una , anche se principale, tra tante e da queste condizionata. Domandiamoci quindi : ” Chi è il soggetto principe della gestione del paziente, il medico, l’infermiere, il / la case manager? Come l’azione di questi ne influenza la gestione, la risoluzione dei problemi e quindi la dimissibilità? Quali parametri si usano per ” uniformare” i pazienti? Viste le criticità normalmente insite nel nostro lavoro, che aumentano esponenzialmente in periodi di crisi economica e di carenza di personale, come si può calcolare la produttività in queste condizioni?”
Ammettiamo pure che tutti fossimo presi dalla febbre ” produttiva” della dimissione veloce, cercando il numero massimo di dimissioni per medico. A parte la competizione che romperebbe l’armonizzazione di una azione che ,comunque, resterebbe collettiva, che ne sarebbe dei pazienti? Sarebbero sacrificati alla spasmodica ricerca della riduzione delle giornate di degenza, problema vero ma che viene “agitato” come una esigenza “metafisica” svincolata da qualsiasi parametro di realtà.
PS. Queste riflessioni sono state scritte qualche tempo fa, quando gli ospedali erano ( anche ora lo sono)preda dell’attivismo inconcludente dei neo managers e dei loro piccoli vassalli esecutori. Scarsi ed oscuri sono stati i loro risultati.
Oggi, con la crisi ed in corso di spending review, non si parlà di giornate di degenza ma più grossolanamente di tagli a tutto campo. Peccato che a parlarne siano i tecnici della Bocconi, quegli stessi maestri che con i loro corsi hanno “formato” managers sanitari passati ed attuali. Non sono riusciti, forse perchè anche loro parte dello stesso sistema, nemmeno a scalfire il loro spirito clientelare e le conseguenti perdite economiche.
E se iniziassimo adesso a tagliare, a mandare a casa i cosidetti managers ed i loro clienti?!!?
Ciro Gallo